Carlentini e i suoi tesori

Salvo
Carlentini e i suoi tesori

Offerta gastronomica

se volete assaggiare le specialità culinarie della pasticceria e gastronomia del posto, vi consiglio vivamente di fare un salto a questo meraviglioso bar, non lontano da noi.
Bar Derby
1 Piazza S. Francesco
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un ristorante fuori dal centro abitato in cui vale la pena gustare le specialità siciliane ottimo.
Borgo Nocchiara
SP95
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prodotti tipici locali preparati con l'attenzione di un tempo con ricerca di farine e prodotti esclusivi
A Maidda
2 Via Vittorio Alfieri
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per un aperitivo una cena o un dopocena alla moda ma di tradizione.
SCIVÙ Local Food
16 Via del Mare
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Visite turistiche

Carlentini detenie un piccolo tesoro. Leontinoi fu fondata intorno al 728 a.C. dai coloni greci calcidesi che poco tempo prima avevano fondato Naxos. Sul colle Metapiccola, uno dei due successivamente occupati dalla città greca, si conservano i resti di un villaggio protostorico (XI-IX sec. a.C.), costituito da  una serie di capanne organizzate intorno ad uno spazio comune. La colonia greca di  Leontinoi occupò i due colli affiancati, S. Mauro e Metapiccola,  e l’interposta valle San Mauro La città, il cui sito era stato scelto in funzione del  controllo della vasta e fertile pianura su cui prospettava, i famosi “campi leontini”,  trasse da essi ricchezza e prosperità. Relativamente lontana dal mare, era ad esso collegata dal fiume S. Leonardo, l’antico Terias, allora navigabile. Pur sorgendo in luoghi naturalmente fortificati, fu ulteriormente rafforzata con una cinta muraria che circondava sia il colle S. Mauro , dove si conservano  due tratti con una torre semicircolare di raccordo, che il colle Metapiccola. Sul fondo della valle S. Mauro si apre l’articolato sistema difensivo della porta meridionale, una vera “porta scaea”, che si apre all’interno di una rientranza delle mura, protetta da una grande torre quadrata della quale rimane la parte basamentale. Nell’ambito della porta meridionale, sono state riconosciute diverse fasi costruttive, l’ultima delle quali relativa all’imminente attacco dei Romani sotto la guida di Marcello, che segnò la fine della città antica. Sulle alture si trovavano  le aree a destinazione sacra; sul colle Metapiccola, nell’area già occupata dal villaggio protostorico, sono state rinvenute le fondazioni di un tempio arcaico, con una ricca stipe votiva che ha restituito materiali di notevole pregio , oggi esposti nel Museo Archeologico di Lentini.  Poco indagato, finora, l’abitato; esso occupava le pendici dei due colli e il fondovalle, dove, secondo le fonti storiche,  si apriva l’agorà. Le case si affacciavano su terrazzamenti, ed erano di tipo rupestre o semirupestre, una tipologia non comune che caratterizza l’abitato fin dalle prime fasi di vita. Le necropoli si estendevano a nord e a sud della città abitata, all’esterno della cinta muraria. Fuori della porta meridionale, si conservano alcune tombe monumentali con copertura a gradoni ( epitymbia ), riferibili ad età ellenistica  I reperti provenienti dagli scavi della città sono esposti nel Museo Archeologico di Lentini, e consentono di  ricostruire gli aspetti storici e topografici della città , dalla preistoria fino al periodo medievale, che rappresenta un altro capitolo importante della sua storia
Archaeological Site
Via Archeologica
Carlentini detenie un piccolo tesoro. Leontinoi fu fondata intorno al 728 a.C. dai coloni greci calcidesi che poco tempo prima avevano fondato Naxos. Sul colle Metapiccola, uno dei due successivamente occupati dalla città greca, si conservano i resti di un villaggio protostorico (XI-IX sec. a.C.), costituito da  una serie di capanne organizzate intorno ad uno spazio comune. La colonia greca di  Leontinoi occupò i due colli affiancati, S. Mauro e Metapiccola,  e l’interposta valle San Mauro La città, il cui sito era stato scelto in funzione del  controllo della vasta e fertile pianura su cui prospettava, i famosi “campi leontini”,  trasse da essi ricchezza e prosperità. Relativamente lontana dal mare, era ad esso collegata dal fiume S. Leonardo, l’antico Terias, allora navigabile. Pur sorgendo in luoghi naturalmente fortificati, fu ulteriormente rafforzata con una cinta muraria che circondava sia il colle S. Mauro , dove si conservano  due tratti con una torre semicircolare di raccordo, che il colle Metapiccola. Sul fondo della valle S. Mauro si apre l’articolato sistema difensivo della porta meridionale, una vera “porta scaea”, che si apre all’interno di una rientranza delle mura, protetta da una grande torre quadrata della quale rimane la parte basamentale. Nell’ambito della porta meridionale, sono state riconosciute diverse fasi costruttive, l’ultima delle quali relativa all’imminente attacco dei Romani sotto la guida di Marcello, che segnò la fine della città antica. Sulle alture si trovavano  le aree a destinazione sacra; sul colle Metapiccola, nell’area già occupata dal villaggio protostorico, sono state rinvenute le fondazioni di un tempio arcaico, con una ricca stipe votiva che ha restituito materiali di notevole pregio , oggi esposti nel Museo Archeologico di Lentini.  Poco indagato, finora, l’abitato; esso occupava le pendici dei due colli e il fondovalle, dove, secondo le fonti storiche,  si apriva l’agorà. Le case si affacciavano su terrazzamenti, ed erano di tipo rupestre o semirupestre, una tipologia non comune che caratterizza l’abitato fin dalle prime fasi di vita. Le necropoli si estendevano a nord e a sud della città abitata, all’esterno della cinta muraria. Fuori della porta meridionale, si conservano alcune tombe monumentali con copertura a gradoni ( epitymbia ), riferibili ad età ellenistica  I reperti provenienti dagli scavi della città sono esposti nel Museo Archeologico di Lentini, e consentono di  ricostruire gli aspetti storici e topografici della città , dalla preistoria fino al periodo medievale, che rappresenta un altro capitolo importante della sua storia
È una delle dimore storiche più belle della Sicilia e fino al dopoguerra era abitata dagli eredi del barone Giuseppe Luigi Beneventano, poi occupata da sfollati, sede di mezzi comunali della nettezza urbana che avrebbero rovinato il mosaico a ciottoli dell’800, luogo di svago per i vandali e ancora studio del giudice Giovanni Falcone, che a Lentini svolse il suo primo incarico da pretore, dal 1965 al 1967. Dimenticato fino a pochi mesi fa, nonostante i recenti restauri avviati intorno al 2004 e durati circa un decennio, Palazzo Beneventano, progettato dal famoso architetto Carlo Sada, oggi rivive grazie all’impegno dei volontari di Italia Nostra Lentini, con le sue 50 stanze tra sale della musica, del trono, di attesa, da conversazione e la grande sala degli specchi, tutte affrescate, disposte a mo’ di cannocchiale prospettico e distinguibili dai mosaici dei pavimenti
Palazzo Beneventano
4 Via San Francesco D'Assisi
È una delle dimore storiche più belle della Sicilia e fino al dopoguerra era abitata dagli eredi del barone Giuseppe Luigi Beneventano, poi occupata da sfollati, sede di mezzi comunali della nettezza urbana che avrebbero rovinato il mosaico a ciottoli dell’800, luogo di svago per i vandali e ancora studio del giudice Giovanni Falcone, che a Lentini svolse il suo primo incarico da pretore, dal 1965 al 1967. Dimenticato fino a pochi mesi fa, nonostante i recenti restauri avviati intorno al 2004 e durati circa un decennio, Palazzo Beneventano, progettato dal famoso architetto Carlo Sada, oggi rivive grazie all’impegno dei volontari di Italia Nostra Lentini, con le sue 50 stanze tra sale della musica, del trono, di attesa, da conversazione e la grande sala degli specchi, tutte affrescate, disposte a mo’ di cannocchiale prospettico e distinguibili dai mosaici dei pavimenti
Alcuni ne attribuiscono l'origine ai Templari, che lo avrebbero realizzato tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII; essi avrebbero sbarrato l'alveo del fiume Trigona-Galici, qualche centinaio di metri prima della confluenza nel fiume San Leonardo, con lo scopo di creare una riserva di caccia e di pescaq La leggenda narra invece che Ercole, recando in dono a Cerere la pelle del leone di Nemea, si fosse innamorato dei luoghi facendo nascere un lago che da lui avrebbe preso il nome. Il lago fu apprezzato e descritto già nell'Ottocento da viaggiatori stranieri, come Charles Didière, che, nell'agosto del 1829, chiamò il Biviere terza meraviglia della Sicilia. Il lago era però anche portatore di febbre e di morte: non appena arrivava il caldo, infatti, la malaria (descritta anche da Giovanni Verga) si diffondeva nel territorio circostante. Per questo motivo, vi furono già a partire dalla fine del XIX secolo, progetti di bonifica; intorno agli anni trenta il lago venne prosciugato. I lavori di bonifica durarono circa trenta anni. Scomparve così il lago di Lentini e con esso anche la flora e la fauna che in esso proliferava. Alla fine degli anni settanta, si pensò alla ricostruzione del lago come serbatoio di acqua per uso agricolo e industriale. Fu con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno che venne realizzato un invaso più piccolo ma più profondo con una capacità di 127 milioni di metri cubi utili d'acqua. Dopo lungo tempo e molte polemiche, il bacino si è riempito trasformandosi nuovamente in un'importante oasi naturalistica e in habitat per la sosta di uccelli migratori e per la nidificazione di molte altre specie. Infatti, secondo alcuni censimenti della LIPU, sono state contate 25000 presenze di volatili, appartenenti a 150 specie diverse, 15 delle quali vi nidificano
Lago di Lentini
Alcuni ne attribuiscono l'origine ai Templari, che lo avrebbero realizzato tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII; essi avrebbero sbarrato l'alveo del fiume Trigona-Galici, qualche centinaio di metri prima della confluenza nel fiume San Leonardo, con lo scopo di creare una riserva di caccia e di pescaq La leggenda narra invece che Ercole, recando in dono a Cerere la pelle del leone di Nemea, si fosse innamorato dei luoghi facendo nascere un lago che da lui avrebbe preso il nome. Il lago fu apprezzato e descritto già nell'Ottocento da viaggiatori stranieri, come Charles Didière, che, nell'agosto del 1829, chiamò il Biviere terza meraviglia della Sicilia. Il lago era però anche portatore di febbre e di morte: non appena arrivava il caldo, infatti, la malaria (descritta anche da Giovanni Verga) si diffondeva nel territorio circostante. Per questo motivo, vi furono già a partire dalla fine del XIX secolo, progetti di bonifica; intorno agli anni trenta il lago venne prosciugato. I lavori di bonifica durarono circa trenta anni. Scomparve così il lago di Lentini e con esso anche la flora e la fauna che in esso proliferava. Alla fine degli anni settanta, si pensò alla ricostruzione del lago come serbatoio di acqua per uso agricolo e industriale. Fu con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno che venne realizzato un invaso più piccolo ma più profondo con una capacità di 127 milioni di metri cubi utili d'acqua. Dopo lungo tempo e molte polemiche, il bacino si è riempito trasformandosi nuovamente in un'importante oasi naturalistica e in habitat per la sosta di uccelli migratori e per la nidificazione di molte altre specie. Infatti, secondo alcuni censimenti della LIPU, sono state contate 25000 presenze di volatili, appartenenti a 150 specie diverse, 15 delle quali vi nidificano
Il Duomo dedicato a Santa Maria la Cava e Sant' Alfio, fu edificato nell'impianto attuale tra il 1700 e il 1750. E' attribuito tradizionalmente all'architetto Vincenzo Vella da Malta. Fu costruito sulla piccola Chiesa di S. Alfio, sorta dopo il catastrofico terremoto del 1693, sulle rovine della precedente basilica dedicata a S. Alfio. Ha impianto basilicale, a tre navate, secondo lo schema tradizionale delle Basiliche Memorie o Funerarie edificate, sin dall'epoca paleocristiana, sulle tombe dei martiri. I lavori per la costruzione dell'attuale Duomo impegnarono per quasi cinquant'anni le risorse della città. Esso non fu del tutto terminato secondo il progetto originario, e tutt'oggi sono visibili diverse parti prive di decorazione pittorica. Esso è preceduto da un Sagrato di ciottoli bianchi e neri con motivi geometrici. La facciata di chiara impronta barocca è a tre ordini, l'ultimo è costituito dalla torre campanaria, in cui, nella nicchia centrale, spicca il campanone, fuso nel 1595 ad honorem Dei sanctorum fratrum martirum Alphii Philadelphi et Cirini. Di particolare interesse la porta lignea centrale. All'interno la Chiesa riccamente decorata è divisa in tre navate da due file di sei colonne per lato (numero simbolico indicante i 12 Apostoli). Sull'Arco trionfale è posta una scritta nella quale si dichiara che la Chiesa lentinese riconobbe Maria, Madre di Dio, prima del Concilio di Efeso. Gli affreschi della volta centrale e del transetto del secolo XVII, i quadri degli altari laterali e del vano presbiterale (altare maggiore), dei secoli XVII e XVIII raffigurano i tanti martiri della chiesa lentinese (altari laterali), storie di miracolati, cammino della Chiesa lentinese (altare maggiore). Nel catino absidale dell'altare maggiore, è posto un organo a canne della seconda metà del XVIII secolo. Nell'altare del Sacramento è custodita una icona bizantina, raffigurante la Madonna Odigitria, nella navata di destra sono visibili tre arcosolii paleocristiani affrescati, da tutti indicati quale sepolcro dei Santi martiri, essi sono ciò che rimane di un vasto complesso catacombale. In sagrestia è visibile un armadio ligneo intarsiato del secolo XVIII raffigurante Santa Tecla e Santa Giustina
Church of Saint Alphius
2 Piazza Duomo
Il Duomo dedicato a Santa Maria la Cava e Sant' Alfio, fu edificato nell'impianto attuale tra il 1700 e il 1750. E' attribuito tradizionalmente all'architetto Vincenzo Vella da Malta. Fu costruito sulla piccola Chiesa di S. Alfio, sorta dopo il catastrofico terremoto del 1693, sulle rovine della precedente basilica dedicata a S. Alfio. Ha impianto basilicale, a tre navate, secondo lo schema tradizionale delle Basiliche Memorie o Funerarie edificate, sin dall'epoca paleocristiana, sulle tombe dei martiri. I lavori per la costruzione dell'attuale Duomo impegnarono per quasi cinquant'anni le risorse della città. Esso non fu del tutto terminato secondo il progetto originario, e tutt'oggi sono visibili diverse parti prive di decorazione pittorica. Esso è preceduto da un Sagrato di ciottoli bianchi e neri con motivi geometrici. La facciata di chiara impronta barocca è a tre ordini, l'ultimo è costituito dalla torre campanaria, in cui, nella nicchia centrale, spicca il campanone, fuso nel 1595 ad honorem Dei sanctorum fratrum martirum Alphii Philadelphi et Cirini. Di particolare interesse la porta lignea centrale. All'interno la Chiesa riccamente decorata è divisa in tre navate da due file di sei colonne per lato (numero simbolico indicante i 12 Apostoli). Sull'Arco trionfale è posta una scritta nella quale si dichiara che la Chiesa lentinese riconobbe Maria, Madre di Dio, prima del Concilio di Efeso. Gli affreschi della volta centrale e del transetto del secolo XVII, i quadri degli altari laterali e del vano presbiterale (altare maggiore), dei secoli XVII e XVIII raffigurano i tanti martiri della chiesa lentinese (altari laterali), storie di miracolati, cammino della Chiesa lentinese (altare maggiore). Nel catino absidale dell'altare maggiore, è posto un organo a canne della seconda metà del XVIII secolo. Nell'altare del Sacramento è custodita una icona bizantina, raffigurante la Madonna Odigitria, nella navata di destra sono visibili tre arcosolii paleocristiani affrescati, da tutti indicati quale sepolcro dei Santi martiri, essi sono ciò che rimane di un vasto complesso catacombale. In sagrestia è visibile un armadio ligneo intarsiato del secolo XVIII raffigurante Santa Tecla e Santa Giustina
La chiesa rappresenta una tipologia ecclesiastica cosiddetta “rupestre” (grotte o cavità naturali usate come abitazione o luogo di culto), oltre che essere un calzante esempio di convivenza di due culti: quello greco e quello latino. Si tratta di un complesso abbastanza articolato, formato in origine da due vani quadrati simmetrici ed affiancati (VII sec. a.C.) che col tempo ha subito ampliamenti e modifiche. Allo stato attuale, si accede da un portale datato 1746, ma l'ingresso originario era quello che oggi si presenta come una finestra e che immetteva nel nartece (area destinata ai catecumeni e penitenti), che precede l'ingresso alla navata; nell'ambiente si può vedere un nicchione ad arco con altare, due ossari (XV sec. circa), mentre, al di sotto di una grata sul pavimento, troviamo una cripta con 16 sedili sepolcrali con purificatori (XVI – XVII sec.). Un breve “ambulacro” (disimpegno che univa i due ambienti) immetteva il fedele alla navata; nella parete destra dell'ambulacro vi è una conca scavata nella roccia che conteneva il “Chantharus” (una sorta di acquasantiera). L'ambiente della navata è quello che sicuramente affascina di più del luogo, potendo ammirare al suo interno, ancora, pareti quasi del tutto ricoperte con cicli di affreschi a palinsesto che ripercorrono 500 anni di culto e stile. Ciò che più colpisce è sicuramente l'altare di Est (secondo il culto orientale), dove possiamo ammirare uno splendido affresco del Cristo Pantocratore, databile intorno al XIII sec., oltre che la suggestiva parete delle “Mater Domini”, dove i differenti stili e periodi si intrecciano, le pareti Nord e Sud, con i loro cicli di affreschi di Santi, databili tra il XIV e XV sec. e la parete Ovest, la quale conserva un San Cristoforo del XV sec. ed un Cristo viandante del XVII sec
Chiesa rupestre del Crocifisso
La chiesa rappresenta una tipologia ecclesiastica cosiddetta “rupestre” (grotte o cavità naturali usate come abitazione o luogo di culto), oltre che essere un calzante esempio di convivenza di due culti: quello greco e quello latino. Si tratta di un complesso abbastanza articolato, formato in origine da due vani quadrati simmetrici ed affiancati (VII sec. a.C.) che col tempo ha subito ampliamenti e modifiche. Allo stato attuale, si accede da un portale datato 1746, ma l'ingresso originario era quello che oggi si presenta come una finestra e che immetteva nel nartece (area destinata ai catecumeni e penitenti), che precede l'ingresso alla navata; nell'ambiente si può vedere un nicchione ad arco con altare, due ossari (XV sec. circa), mentre, al di sotto di una grata sul pavimento, troviamo una cripta con 16 sedili sepolcrali con purificatori (XVI – XVII sec.). Un breve “ambulacro” (disimpegno che univa i due ambienti) immetteva il fedele alla navata; nella parete destra dell'ambulacro vi è una conca scavata nella roccia che conteneva il “Chantharus” (una sorta di acquasantiera). L'ambiente della navata è quello che sicuramente affascina di più del luogo, potendo ammirare al suo interno, ancora, pareti quasi del tutto ricoperte con cicli di affreschi a palinsesto che ripercorrono 500 anni di culto e stile. Ciò che più colpisce è sicuramente l'altare di Est (secondo il culto orientale), dove possiamo ammirare uno splendido affresco del Cristo Pantocratore, databile intorno al XIII sec., oltre che la suggestiva parete delle “Mater Domini”, dove i differenti stili e periodi si intrecciano, le pareti Nord e Sud, con i loro cicli di affreschi di Santi, databili tra il XIV e XV sec. e la parete Ovest, la quale conserva un San Cristoforo del XV sec. ed un Cristo viandante del XVII sec
Siracusa è una città incantevole con un patrimonio artistico e culturale inestimabile a soli 35 min in auto da casa mia, assolutamente da visitare
510 (рекомендации местных жителей)
Сиракьюс
510 (рекомендации местных жителей)
Siracusa è una città incantevole con un patrimonio artistico e culturale inestimabile a soli 35 min in auto da casa mia, assolutamente da visitare